DA GRANDE VOGLIO FARE IL GIORNALISTA

Le centinaia di pagine scritte da Giancarlo Siani, in poco più di sei anni, sul quotidiano «Il Mattino» e sulla rivista sindacale «Il lavoro nel Sud» sono un documento impressionante della cultura, dell’entusiasmo di vita, della partecipazione intensa per i problemi e le difficoltà degli altri di un giovane che titolerà uno dei suoi primi articoli Da grande voglio fare il giornalista. Era la tarda primavera del 1979.
Nell’estate 1980 cominciava la collaborazione al quotidiano napoletano. Era appena passato ferragosto, ma erano subito inchieste dure sul disagio della condizione giovanile, sulla mancanza di lavoro, le attese, le illusioni, «inseguendo speranze», vivendo male nelle stanze affittate a caro prezzo dagli studenti fuori-sede.

La camorra

Nell’autunno ’80 il primo intervento sulla camorra. Era la moderna camorra imprenditrice, che operava attivamente nelle più diverse attività industriali, dall’edilizia al settore conserviero, e s’era già specializzata nell’acquisire i miliardari contributi della Comunità europea. Alla denuncia della camorra imprenditrice, Siani fa seguire subito una inchiesta sul racket a Napoli: «A Napoli un commerciante su cinque paga la tangente».
Sul finire del 1980 inizia il lavoro di cronista da Torre Annunziata: il terremoto ha colpito qui anche il contrabbando delle sigarette. Un anno dopo, novembre ’81, l’attento cronista informa, da Torre, che è aumentato il commercio di eroina e cocaina, è in corso la prima guerra di camorra tra cutoliani e anticutoliani.

La deindustrializzazione

Passano pochi mesi e, nel marzo 1983, è ancora crisi industriale. Procede lo smantellamento delle aziende delle Partecipazioni statali: Deriver, Atemci Finsider, Dalmine, Italtubi, Imec. Il precario cronista conosce la storia di Torre Annunziata.

Gli affari della camorra

Il coraggioso giornalista, dotato di notevole cultura e di solido orientamento politico, mette in luce come non manchino le realtà produttive, taglieggiate però dalla camorra e bloccate dalla sospetta inefficienza dell’amministrazione comunale. A Torre c’è uno dei più grandi mercati ittici del Sud. Il pesce arriva da tutte le parti del mondo e riparte per diverse regioni italiane.
Una settimana dopo il cronista indica qual è il “mercato florido” a Torre. «La merce-droga ha evidentemente trovato un sistema di circolazione e traffico già segnato ed ampiamente sperimentato dal contrabbando di sigarette, un’attività oggi ridimensionata ma sempre sotto il controllo della camorra».
A fine maggio ‘84 denuncia con forza «le mani sulla città» imposte dalla camorra. “Città violenta”, “centro del traffico di droga”, “serbatoio di killers per la camorra”, scrive, sono «definizioni che la città si porta dietro da anni senza riuscire a scrollarsi di dosso un’immagine di “terra di nessuno e di violenza”».

La strage di Sant’Alessandro, 26 agosto 1984

Sul finire di agosto arrivavano le truppe armate di Carmine Alfieri e di Ferdinando Cesarano che danno, per conto dell’intero clan Bardellino, una sanguinosa lezione alla banda di Gionta e ai suoi più alti referenti Nuvoletta. È la strage di camorra consumata davanti al circolo dei pescatori.
Ma la crisi industriale procedeva senza soste, con licenziamenti continui di operai: dopo l’Imec era la volta, a ottobre, della fabbrica elettromeccanica Conato. Si mobilitavano invece gli studenti, per la prima volta, e sfilavano in migliaia per le strade di Torre.

Camorra e politica

Nella primavera del 1985 Giancarlo Siani continua a denunciare, sul «Mattino», le estorsioni attuate dal clan Gionta, come pure l’incriminazione del sindaco Bertone per omissioni di atti di ufficio in materia di abusivismo edilizio. Il giovane cronista aveva in effetti scoperto, anche grazie alle indagini del capitano Sensales, il sistema di potere criminale costituito a Torre Annunziata dal sindaco Bertone, che fungeva da mediatore tra i clan camorristici e le imprese edili – finanziate con investimenti pubblici.
L’otto giugno 1985 veniva arrestato dai carabinieri a Marano Valentino Gionta, che s’era rifugiato nella masseria dei Nuvoletta l’anno prima, subito dopo l’assalto di Bardellino e Galasso a Poggio Vallesana.

L’articolo del 10 giugno

Il 10 giugno, in un articolo titolato Camorra: gli equilibri del dopo-Gionta, sul «Mattino» Siani sosteneva che la cattura di Gionta «potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere ne alla guerra con l’altro clan di “Nuova famiglia”, i Bardellino». Ancora una volta il giornalista precario aveva colto nel segno. I Nuvoletta avevano tradito Gionta, che l’aveva pure capito. Ma non si doveva dire e non si doveva sapere. I Nuvoletta non potevano sopportare l’onta d’essere “infami”. Tanto meno poteva sopportare il capo dei “tragediatori” di Corleone, Totò Riina.

La condanna a morte

E furono i Nuvoletta e Riina a decidere l’assassinio di Giancarlo Siani, per una vergognosa e per giunta falsa “questione d’onore”. Lo “zio” di Corleone fu irremovibile: l’onore dei Nuvoletta andava lavato col sangue del giovane.
Dopo l’arresto di Gionta, Siani fu richiamato a Napoli dal giornale e cominciò a scrivere, dal 1° luglio, di cose napoletane. Naturalmente sempre con un contratto precario. Il ragazzo che da grande voleva fare il giornalista fu raggiunto sotto casa sua, a Napoli, dalla sporca vendetta della camorra mafiosa, il 23 settembre 1985. Il giorno dopo i Nuvoletta festeggiarono questa impresa con un pranzo nella loro tenuta. Nel 1997 la Corte di Assise di Napoli condannò per questo delitto all’ergastolo, con isolamento diurno per tre anni, Angelo Nuvoletta, Valentino Gionta e Luigi Baccante; Lorenzo Nuvoletta e altri intanto erano già morti, alcuni ammazzati.
Giancarlo Siani voleva fare solo il giornalista.