I GENITORI

«Mia madre e mio padre sono morti quella sera assieme a Giancarlo», racconta con una voce piena di tristezza Paolo Siani. Maria Pia Carsana, questo il nome della mamma, era del 1928. Il padre si chiamava Mario, classe 1921, ed era funzionario della Regione Campania.

Nel 1985 avevano rispettivamente 57 e 64 anni e ancora diversi anni da vivere in serenità. «Papà non è più uscito di casa. Da quel giorno non è andato nemmeno più a lavorare. In Regione dirigeva la pubblica istruzione e l’assistenza. Mia madre era casalinga. Uscivano di casa solo per andare al cimitero tutti i santi giorni, fino alla loro morte. Mamma ha vissuto con una rabbia dentro che non ha mai domato. Ce l’aveva col Padreterno e poi a scendere giù. Sempre incazzata con tutti. Mio padre non era da meno. La nascita dei miei figli li ha leggermente addolciti. Papà portava mia figlia a scuola e così si distraeva un po’. Ma è l’unica cosa che facevano, nient’altro.
Il Comune costruì una piccola cappella per mio fratello. C’erano fiori freschi tutti giorni, come se fosse un’abitazione. Mio padre è morto nel 2000 e mamma nel 2002. Il cuore ha ceduto. Sono morti entrambi improvvisamente, senza soffrire. Hanno fatto la “morte dei giusti” dice un mio amico infermiere. Ma dentro erano già morti dalla sera dell’omicidio di Giancarlo.

Nell’85 io non ero sposato. L’ho fatto l’anno dopo, a luglio. Allora i miei genitori hanno cambiato casa per stare lontani anche fisicamente dal luogo in cui è stato ucciso mio fratello. Nella nuova abitazione mia mamma, però, ha ricostruito la stanzetta di Giancarlo uguale a prima, con il divano letto, l’armadio con dentro i suoi vestiti. Non li ha mai buttati. E chi glieli toccava? C’erano anche alcune mie cravatte che gli avevo prestato. Nessuno toccava niente. Erano reliquie. Sono gli stessi abiti che il regista Marco Risi, prima di iniziare a girare “Fortapàsc”, volle vedere. Rimase per ore con questi vestiti in mano. Li toccava, li odorava, come se stesse entrando in contatto con Giancarlo».