LA CONDANNA A MORTE

Arriva dopo la pubblicazione di un articolo su «Il Mattino» del 10 giugno 1985, in cui rivela che l’arresto del capoclan di Torre Annunziata, Valentino Gionta, è avvenuto in seguito ad una soffiata partita dal clan Nuvoletta. «(…) Dopo il 26 agosto dell’anno scorso il boss di Torre Annunziata era diventato un personaggio scomodo – scrive Giancarlo Siani nell’articolo. La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di “Nuova famiglia”, i Bardellino. I carabinieri erano da tempo sulle tracce del super latitante che proprio nella zona di Marano, area d’influenza dei Nuvoletta, aveva creduto di trovare rifugio. Ma il boss di Torre Annunziata, negli ultimi anni, aveva voluto “strafare” (…).»

Il 26 agosto del 1984 a Torre Annunziata vengono ammazzate otto persone. È una strage. A compierla sono camorristi legati al capo dei casalesi, Antonio Bardellino; l’obiettivo è il clan di Valentino Gionta che dopo aver eliminato gli uomini legati al boss Raffaele Cutolo, comincia ad espandere i suoi traffici illeciti nel settore della carne, del pesce e della droga invadendo il campo in cui fanno affari il clan dei casalesi, quello di Carmine Alfieri e di Mario Fabbrocino. Rompe in questo modo i vecchi equilibri tra clan. Bardellino è deciso a fargliela pagare anche perché mal sopporta il ruolo dei Nuvoletta nella spartizione degli affari in Campania. Così organizza la spedizione punitiva contro il clan Gionta, deciso ad andare fino in fondo.

L’AGGUATO

«Vieni anche tu al concerto di Vasco Rossi domani sera?» «No, non mi va». «Allora ci vado con un amico». Giancarlo lascia Daniela, la sua ragazza, sull’uscio di casa a vico Equense. Un bacio e via, alla volta di Napoli sulla sua Mehari. Il giorno dopo è lunedì e sarà un’altra lunga giornata di lavoro. Ma Giancarlo Siani a quel concerto di Vasco Rossi non ci arriverà mai. La sua giovane vita viene spezzata la sera del 23 settembre 1985 in piazza Leonardo, al Vomero proprio davanti casa sua e quelle emozioni, le note di una canzone resteranno per sempre imprigionate dentro la mente di un giovane che aveva ancora tutta la vita davanti. I killer sono due. Si appostano in un’auto nei pressi di piazza Leonardo, dopo aver attraversato le affollate strade del Vomero. Nel trambusto caotico della zona difficilmente verranno notati. Hanno studiato le abitudini di Giancarlo. Deve tornare dalla redazione di Napoli. Sta sostituendo un collega in ferie. Rientrerà a casa verso le 21, dopo aver chiuso la pagina di cronaca. La serata è tiepida. Ideale per andare a un concerto di Vasco Rossi. Giancarlo torna a casa più in fretta che può. Al Vomero c’è tanta gente per le strade. Anche i bar e i locali della movida sono affollati di giovani che sfoggiano la fresca abbronzatura conquistata al mare d’estate. Il ragazzo passa veloce salutando giusto qualche amico. «Eccolo, è lui. Tieniti pronto». I suoi assassini lo vedono arrivare. Giancarlo va veloce con la sua Mehari, senza sapere di correre incontro alla morte. È un bersaglio facile. È quasi davanti ai suoi carnefici. «Spara! Spara!», grida uno di loro. Giancarlo è colto di sorpresa. L’auto va da sola. Per pochi metri. Si ferma proprio sotto casa sua. «Spara! Spara ’sto bastardo.» Gli ultimi due colpi quando l’auto si ferma. Giancarlo china la testa verso la spalla sinistra e forse non si accorge che la vita è ormai fuggita via, lasciandolo solo in mezzo all’odore acre della polvere da sparo, al centro di una tempesta di grida e lacrime che non potrà più udire. I killer fuggono. È stato facile. Sono bastati otto colpi di pistola per ammazzarlo e portare via i sogni di un ragazzo di ventisei anni.