AMATE IL LAVORO CHE FATE

di Carlo Verna
Faccio sempre uno sforzo a parlare di Giancarlo Siani, il più appassionato di tutti nel coltivare il sogno di fare il giornalista. Difficile a realizzarsi già allora e oggi anche di più. Non doveva finire così. Per tutti noi de “Il lavoro nel Sud” fu un trauma non assorbibile la notizia del suo assassinio. In redazione c’era una cartellina coi suoi pezzi. Era lì a prescindere dalla pubblicazione. La periodicità del giornale era mensile e tutti noi, quando seguivamo un evento, conservavamo gli appunti per stendere il pezzo a ridosso della pubblicazione, per tenere conto di sviluppi, fatti nuovi collegabili e quant’altro. Risparmiavamo una parte della fatica. Lui no. Preferiva scrivere due volte perché – e come dargli torto – fissare subito tutto, in un pezzo, impediva che qualcosa potesse sfuggire.

Lo racconto sempre ai giovani che mi chiedono di Giancarlo di cui per anni non ho parlato, soprattutto in pubblico, per non vantare una colleganza e un’amicizia con un giovane privato barbaramente dei sogni e della vita. Così anche altri de “Il lavoro del Sud”. Francesco Pinto che ne era il direttore, porta con sé un dolore che gli inibisce di parlare non solo in pubblico ma anche in privato di Giancarlo. Che è l’opposto della soddisfazione provata quando la nostra “promessa” – per usare un termine del gergo sportivo (il giovane Siani era appassionato anche di pallavolo) – cominciò a farsi valere a “Il Mattino” che qualche anno dopo assunse Guelfo Fiore, un altro della nidiata. Io andai alla Rai. E ho cominciato a parlare di Giancarlo solo quando ho iniziato ad assumere incarichi nazionali di responsabilità per la categoria. Prima come segretario dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti del servizio pubblico e oggi come presidente dei giornalisti italiani. Lo sforzo, con queste vesti, lo ritengo un atto di doverosa testimonianza della straordinarietà di Giancarlo Siani, la cui passione e la cui deontologia – che lo hanno messo nelle condizioni di sacrificare la vita – devono costituire esempio non solo per chi fa giornalismo ma anche per chi svolga altre professioni. Il messaggio mi sembra: “Amate il lavoro che fate e fatelo con una coscienza che va al di là di ogni legittima paura”.