LA VITA DI UN CRONISTA VALEVA UN TITOLO DI SPALLA E QUATTRO COLONNE DI PIOMBO

di Daniela De Crescenzo

L’ultima volta che ho visto Giancarlo era una domenica assolata e perfetta. In via Chiatamone il sole picchiava e lui aveva sudato per correre al bar. “Mamma mia che caldo, e noi rinchiusi qua dentro…” ci dicemmo come sempre facevamo quando gli altri erano al mare, al cinema, al concerto e noi restavamo nell’unico posto dove volevamo essere: la redazione grigia e polverosa del giornale della nostra città. Ci compativamo un pò per scherzo, un po’ per nostalgia di quelli che avevamo lasciato fuori dal nostro gioco.

 

In quella domenica di settembre eravamo pronti a cambiare il mondo con le parole: eravamo convinti di aver realizzato un mezzo miracolo, ottenendo una scrivania con la macchina da scrivere senza avere né un politico alle spalle né un parente giornalista. Ma a forza di scarpinare, proporre, andare, tornare, intervistare, Giancarlo spingendosi fino a quella terra ostile che era Torre Annunziata, c’è la avevamo fatta: un gruppo di “gli di nessuno” era entrato al giornale, qualcuno era già stato assunto, qualche altro, come Giancarlo, aveva in tasca solo una promessa. Ma il futuro era comunque a portata di mano, è così in quella domenica di settembre ci prendevamo in giro sciocchi e sicuri di avere il mondo tra le mani.
Poche ore dopo Giancarlo rinunciò al concerto di Vasco Rossi e fu ammazzato sotto casa. E noi che con lui aveva- mo riso e sognato diventammo improvvisamente adulti, costretti a capire che la vita di un cronista per il nostro giornale di allora valeva un titolo di spalla e quattro colonne di piombo.